Una sosta con la "Vigezzina" per l'immancabile foto ricordo

Il Re è un omino come me

Nel '25 viene a Domo a inaugurare la prima Esposizione Italo-Svizzera Sua Maestà in persona, Vittorio Emanuele III.

Il Gruppo dell'Erina, o meglio della Rineta, come è chiamata da tutti a causa della esile corporatura la dinamica signorina, non è presente.

Ci vuole il vagone bestiame per rimorchiare muli, asini, capre e pecore

Un posticino «su»

L'Erina e il fratello - destinato ad affermarsi valente pittore - studiano l'abbigliamento e l'ambiente vigezzino nei minimi particolari, si documentano con serietà e competenza.

Bisogna riprodurre meticolosamente quei personaggi tipici vigezzini  che si sono creati già una loro storia oltre i confini - il pittore, Giovan Maria Farina inventore dell'acqua di colonia, l'emigrante, lo spazzacamino - e poi il contrabbandiere, il capraio, il cacciatore, l'alpigiano e così via. Nel 1923 viene inaugurata ufficialmente la Ferrovia.

D'allora in poi il Gruppo inizia le sue uscite: da principio timidamente, in occasione perlopiù del carnevale di Domo, poi via via in modo sempre più convinto.

Nel '23 funziona già, e bene, il Capanno dei Pini di Santa Maria Maggiore.

Lo gestisce la Signora Gina Porinelli.

Nella pineta circostante si scia e si pattina, ci sono clienti decisamente su e la Gina ci tiene a qualche tocco di classe.

Dispone di un pianista soprannominato Lenin e vuole che a servire siano le ragazze in costume.

I vestiti li fornisce la Domenica Zamboni, dalla signorina Belcastro è inutile bussare, non molla uno spillo.

Queste ragazze, prosperose e sempre piene di fame, quando possono, a fine pranzo, si infilano nei tasconi pezzi di carne, pasta, contorno e tutto quel che capita.

Intanto Lenin suona e le signore bene osano nel tango.

L'amor fa far dei salti, ma la fame ancor più alti, rumina il Cicia contando in terra le formiche col bastone.

Ed è proprio per via del Lenin che una sera, tra il lusco e il brusco, esplode un putiferio con donne bene a gambe all'aria.

La rissa nasce a causa di un cliente che invita il pianista, suo amico a suonare: Fammi un tangone, Lenin.

Quel nome, inteso come una provocazione, non va giù ai figli di un generale della Milizia, sopraggiunti in quel momento, i quali si mettono a menare le mani coinvolgendo nel pestaggio tutti gli avventori.

Degno di essere ricordato anche il tuffo nell'acqua gelida, appena fuori dal Capanno, del noto ingegnere della Ferrovia Huber e consorte, che sprofondano fino al collo mentre stanno volteggiando come libellule sulla chiusa ghiacciata costruita dal Giuàn Garavaglia.

Sono giochi poveri, a volte violenti, quasi sempre pericolosi.

I monelli sfidano le leggi della gravità e i fucili a sale per rubacchiare un pò di frutta negli orti; alle feste di Re per provare il sapore dei "bum-bûi" rischiano le legnate del "turunàt" che provoca la loro gola col suo banchetto di dolciumi;penzolano temerari dai fili a sbalzo sui quali attraversano torrenti e crepacci avvinghiati a un rampino di legno.

E' in via di ultimazione la ferrovia  della Vigezzina. Il maggior divertimento dei marmocchi di Santa Maria Maggiore è di mettere un vagoncino sui binari e calarsi con quello a tutta velocità verso malesco. Il capobanda è il Guido Parma. Con un robusto stanghetto fra le mani fa da frenatore al convoglio che trasporta solitamente dieci, quindici viaggiatori.

Un giorno si spacca il freno e i mocciosi saltano via in mezzo ai rovi e nei prati della Siberia. Rimane agrappato al mezzo, incapace di muoversi, il solo Furmia che se la vede brutta.

Riescono a fermare l'ordigno impazzito alcuni operai di Malesco servendosi di una traversina.

Il piccolo non ha retto alla strizza, si sono "sdate" tutte le valvole. Lo tirano giu gli stessi operai sollevandolo con un "trênt".

Vigezzini in costume in una vecchissima foto scattata davanti al municipio di Santa Maria Maggiore.

Primo a sinistra, visibile per metà, il pittore Alfredo Belcastro. La sorella Erina è al centro, in basso

tratto da:

La vera storia del gruppo folkloristico Vigezzino

di Benito Mazzi

A cura del Gruppo Folkloristico Valle Vigezzo


Tempi Grami

La Vgezzo degli Anni Venti non navigava in buone acque: quattro patate, contrabbando ed emigrazione sono gli unici mezzi di sussistenza. C'è anche un po di turismo, prevalentemente di èlite. Dal 1912 a Santa Maria Maggiore opera una Pro Loco che s'impegna per rendere più ospitale il paese. Non mancano i buoni alberghi. Già all'inizio del secolo ne troviamo otto, di cui uno attrezzato di campo da tennis, a Santa Maria Maggiore, tre più un ospizio a Re ed altri ancora a Craveggia, Malesco e Finero.


Il Gruppo Folkloristico vigezzino nasce intorno al 1922 col preciso scopo di fare preopaganda alla valle. Lo fondano i fratelli Alfredo ed Erina Belcastro, ristoratori per tradizione familiare, omegnesi di origine trapiantati a Santa Maria Maggiore dove aiutano il papà Ferdinando nella gestione di una catena di alberghi. La sanno lunga in fatto di turismo e si rendono conto dell'importanza di far conoscere il giro per l'Italia i pregi climatici e gli incomparabili paesaggi di una valle tutta da scoprire.


Santa Maria Maggiore, Malesco, Craveggia vantano parchi grandissimi, ville sontuose, testimonianze di un'agiatezza che contrasta con la modestia delle case tutt'intorno. C'è chi stà bene, grazie alle fortune fatte oltre i confini, ma i più trachinano un'esistenza grama. Gli artigiani locali aspettano con ansia ogni anno a fine stagione l'arrivo dall'estero "dei sciüri" che porteranno un po di lavoro per l'inverno. A Santa Maria Maggiore, al rientro dalla Francia, i Ponti e i Gennari cercheranno di occupare più gente possibile. Sono famiglie importanti per il paese. Ogni loro vicenda, triste o lieta, coinvolge in qualche modo l'intera comunità. Quando muore "un sciur", per dirne una, la sua famiglia regala a tutti i bambini poveri un pezzo di fustagno per tirare fuori un paio di pantaloni. ("Un mor mai in aut, da pudè fini stì bråi!" sospira la Marcelina che da un tocco solo di fustagno non ricava piu di un gambale per il suo figliolo).

Un costume vigezzino secondo l'incisione settecentesca di Teodoro Viero

Il folto Gruppo folkloristico della Valle Vigezzo, fondato intorno al 1922 da Alfredo ed Erina Belcastro, è attualmente affidato alle cure dell'insegnante

Susanna Balconi Giorgis (nella foto: la prima a sinistra col bambinello).

Quando cade un compleanno o un onomastico c'è la fila dei "bocia" che portano un fiore al festeggiato. Per Sant'Anna, la signora Zanna Gennari attende seduta in giardino col sacchetto delle monetine. Uno dopo l'altro i banbini di Santa Maria Maggiore le porgono il fiore di campo e lei ricambia con un "ventino". Alla seconda o terza volta che uno passa la "sciüra" Anna lo guarda con una certa faccia. Quello si toglie la giacchetta o la rivolta e si ripresenta. La donna finge di non avvedersene e lo premia col soldo.

Svaghi violenti

Allorchè una volta all'anno il generale Luigi cadorna è ospite, sempre a Santa Maria Maggiore, dei conti Reina, discendenti del generale Peretti, sul tavolo del maestoso parco c'è un panino per utti i bambini. La "truppa" entra a fronte, prende il panino, accenna un goffo inchino al generale e passa fuori di corsa. Un pò meno ossequio il sindaco Grassini che al momento dei caduti volta intenzionalmente la schiena a Cadorna, reo di aver applicato la decimazione al fronte.

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Ogni paese vigezzino invia una propeia delegazione col sindaco. Re, in particolare, vuol fare le cose per benino e si rivolge allal Rineta per avere i costumi. Gli ambasciatori reesi se la danno a gambe per non venir sgraffignati.

Ma ièn rop da dumandà?! si infuria la gelosissima capogruppo. Offrono i loro costumi personali alle ragasse di Re le sorelle Camilla e Maria Garavaglia. Il gruppetto dei Tirlui d'angì a Domo fa la sua figura, il sindaco Isapìn Polti presenta la forsa a Sua Maestà: Io sono il sindaco di Re e questi - e allarga il braccio a semicerchio - sono i miei abitanti.

Alla sera all'osteria, a chi gli chiede com'è andata a Domo, il Polti si limita a rispondere laconico: Ul Re l'è bè ma in umin cumè mi.

Agli onori della spampa

Il 20 febbraio del 1928 il Gruppo vigezzino si aggiudica a Domodossola il primo premio al concorso Costumi Valli Ossolane.

Enorme quantità di pubblico, dicono le cronache del tempo. Il primo premio venne assegnato, per acclamazione popolare, previa approvazione della giuria, al corteo della Valle Vigezzo. Furono ammiratri in esso i tipi del pittore vigezzino errabondo per le città francesi in cerca di soggetti da ritrarre a cinquanta franchi per tela; del pastore più lanuto delle pecore con la sua giacca a rozza maglia e una fascia rossa alle anche; della vecchia filatrice alpigiana chiomata sotto la larga tesa della cappellina di paglia; degli spazzacamini fuligginosi e curvi sotto il sacco del loro bottino; del contrabbandiiere sospettoso e fuggitivo con la bricolla a spalle e il lungo bastone nel ferreo pugno. Nè mancavano le eleganti e ben interpretate coppie rievocanti i tempi in cui Giovan Maria Farina  spediva in tutta Europa la sua (di recente inventata) acqua di colonia; e neppure le pulcelle vigezzine più variopinte nel loro originale costume che le farfalle estive dei pascoli alpini, con canestri recanti i prodotti del luogo.

Le machiette, una cinquantina, magnificamente riprodotte e organizzate dal pittore Belcastro, suscitarono l'universale entusiasmo.